A settanta anni dalla promulgazione delle leggi razziali in Italia riporto un ottimo articolo di Michele Sarfatti, direttore della Fondazione Centro di documentazione ebraica di Milano, segnalato da MMAX.
Un’Italia ariana e antisemita
L'obiettivo della persecuzione antiebraica fascista fu quello di
passare dalla persecuzione dei diritti alla persecuzione delle vite;
riflessi di attualità
Settanta anni or sono, il 1° e il 2 settembre 1938, il Consiglio dei
ministri del Regno d'Italia si riunì per approvare le prime leggi
antisemite della storia dell'Italia unita. La legislazione antiebraica
varata in quei mesi dal regime fascista coinvolse il Paese nel suo
insieme, non la sua sola vita politica, o sociale, o economica, o
culturale. Dal punto di vista della dittatura, essa introdusse una
riforma di ambito generale e di durata permanente. Benito Mussolini
decise che il fascismo e l'Italia intera dovevano essere ariani e
antisemiti. E l'uno e l'altra lo divennero o iniziarono a divenirlo.
Si trattò ovviamente di una trasformazione processuale, progressiva ma
non lineare. In alcuni ambiti, non era ancora conclusa alla fine della
guerra; in altri, avanzò molto velocemente.
Pur essendo similare alla svolta razzistica intrapresa nel 1936-1937
contro i sudditi delle colonie africane, e in particolare contro le
popolazioni di Etiopia, Eritrea e Somalia, la persecuzione antiebraica
varata nel 1938 se ne differenziò perché ebbe per oggetto delle
persone che erano cittadini dello Stato. Essa quindi costituì una
rottura del patto di eguale cittadinanza stretto nel corso del
Risorgimento. Inoltre, come le altre legislazioni antiebraiche
europee, costituì un rovesciamento epocale dei principi della
Rivoluzione francese e del liberalismo dell'Ottocento.
Occorre ricordare che l'Italia fascista non emanò una legge di revoca
della cittadinanza italiana agli ebrei italiani. Tuttavia li escluse,
in modo generalizzato e definitivo, dalle Forze armate, dal Partito
nazionale fascista e da tutta la vita della nazione. Insomma, nel 1938
ebbe termine la vicenda storico-nazionale avviatasi con il
Risorgimento. Un perseguitato, professore di Storia dell'arte, scrisse
in quei giorni: «A me è stata improvvisamente troncata ogni attività
di cittadino e di studioso: espulso dall'esercito, dalla cattedra,
attraverso i miei libri dalla scuola, assisto alla distruzione di
quanto formava la ragione stessa della mia vita».
La legislazione antiebraica italiana non era diretta solo contro gli
ebrei antifascisti e non-fascisti, o solo contro le persone iscritte a
una Comunità ebraica, bensì contro tutte le persone classificate di
«razza ebraica». Ed essa stessa classificava di «razza ebraica» ogni
persona nata da due genitori di «razza ebraica», anche quando era di
religione cristiana. Insomma, qualsiasi scelta religiosa o culturale
avesse compiuto, una persona non poteva cambiare ciò che gli era stato
trasmesso automaticamente dai genitori. Questo criterio
classificatorio è indubitabilmente «razzistico biologico». Esso fu
applicato anche alle persone di religione ebraica nate da due genitori
di «razza ariana», le quali furono sempre classificate di «razza
ariana». Il documento teorico ufficiale Il fascismo e i problemi della
razza (noto anche con il titolo fuorviante Manifesto degli scienziati
razzisti), pubblicato il 14 luglio 1938, aveva affermato con estrema
chiarezza che «il concetto di razza è concetto puramente biologico».
La «razza» dei genitori veniva stabilita sulla base della «razza» dei
loro genitori, e così via a ritroso nel tempo, fino a quando, venendo
a mancare i registri anagrafici, si considerava che una persona di
religione ebraica fosse automaticamente di «razza ebraica». Nel caso
di matrimoni definiti «razzialmente misti», la «razza» dei figli
veniva determinata sulla base dei loro comportamenti.
Volendo sintetizzare l'obiettivo della persecuzione antiebraica
fascista, possiamo dire che nel 1938-1943 il fascismo intendeva
eliminare tutti gli ebrei, italiani e stranieri, dal territorio
italiano e dalla società italiana. Relativamente a quelli stranieri,
nel settembre-novembre 1938 il governo vietò nuovi ingressi aventi
scopo di «residenza» e ordinò l'allontanamento entro pochi mesi di
coloro la cui residenza in Italia era iniziata dopo il 1918. Inoltre
nell'agosto 1939 vietò agli ebrei dell'Europa centrale gli ingressi
aventi scopo di «soggiorno», e nel maggio 1940 quelli aventi scopo di
«transito». Quando l'Italia entrò nella seconda guerra mondiale (10
giugno 1940), fu stabilito che gli ebrei stranieri ancora presenti
nella penisola venissero internati in piccoli comuni o in campi di
internamento, in attesa di essere espulsi alla fine del conflitto.
L'internamento fu un provvedimento antisemita, ma in questi campi
italiani del 1940-1943 non vi furono violenze antisemite.
Riguardo agli ebrei italiani, inizialmente la dittatura operò per
favorirne l'emigrazione spontanea. Successivamente avviò
l'elaborazione di una legge per la loro espulsione generalizzata e
definitiva; il progetto venne però presto accantonato, senza dubbio
perché l'estensione geografica della guerra aveva ridotto ai minimi
termini la possibilità di emigrazione. Anche per gli ebrei italiani
nel 1940-1943 furono decisi provvedimenti di internamento e di lavoro
obbligato, che con il trascorrere degli anni e l'aumento delle
sconfitte belliche divennero sempre più generalizzati e sempre più
persecutori: nel maggio-giugno 1940 fu disposto l'internamento di
quelli giudicati maggiormente «pericolosi»; nel maggio 1942
l'istituzione del «lavoro obbligatorio», noto anche come
«precettazione»; nel giugno 1943 l'istituzione di quattro «campi di
internamento e lavoro obbligatorio» per ebrei abili (questa decisione
non fu però attuata a causa della crisi del 25 luglio).
A partire dal settembre 1938 gli ebrei furono colpiti da una serie
incessante di divieti, aventi per oggetto pressoché tutti i comparti
della vita; essi furono così espulsi dalla scuola pubblica, dal
comparto dello spettacolo (teatro, musica, film, ecc.), dalle
associazioni culturali e sportive, dall'editoria, dalle cooperative,
dagli impieghi pubblici, in misura progressiva da quelli privati, ecc.
Questi provvedimenti da un lato attuavano la loro persecuzione e
dall'altro realizzavano la loro separazione dai non ebrei. Entrambe
erano politiche essenziali per il successo dell'azione di
allontanamento/espulsione. Ma gli ebrei di cittadinanza italiana che
emigrarono tra il 1938 e l'autunno 1940 furono solo l'8%.
Come già detto, il fascismo italiano aveva anche l'obiettivo di
«arianizzare» la società italiana. Così, le politiche di espulsione
degli ebrei dai singoli ambiti della vita lavorativa, educativa e
sociale e di separazione erano funzionali anche alla disebreizzazione
e alla antisemitizzazione del Paese, sempre più caratterizzato come
Stato «ariano» e «razziale». Parallelamente, gli ebrei divenivano
sempre più soli e impoveriti. E queste due trasformazioni si
rivelarono fatali – assieme alla poderosa opera di schedatura
effettuata dalla burocrazia – quando, con l'8 settembre 1943, si passò
dalla fase della «persecuzione dei diritti» a quella della
«persecuzione delle vite».
2 commenti:
davvero commovente...
V.S.
Settanta anni fa, Giuseppe Stalin, con l'entusiastica approvazioine del compagno PALMIRO Togliatti etc.etc.etc
Quanti Palmiri di merda girano ancora indisturbati in Italia e nel mondo!
Ma non si puo' fare qualcosa?
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